sabato 17 febbraio 2007

Everyman di Philip Roth - commento

Everyman

di Philip Roth

«La vecchiaia non è una battaglia: la vecchiaia è un massacro» è la dichiarazione che fa Roth a pag. 106 di Eveyman confermando un pensiero che lo perseguita ormai da anni.

Questo ultimo libro, dalla copertina nera, presentato come un capolavoro in America e in Italia, mi ha proprio delusa.

Roth riprende i suoi classici temi: la competizione del protagonista con l’immagine perfetta di un fratello (lo Svedese nella Pastorale americana), i fallimenti matrimoniali, la vecchiaia= malattia=morte, l’ossessione del sesso, il ricordo di giochi erotici perduti, e infine, il rifiuto totale di accettare una diversa condizione della vita, nel momento in cui la vita si trasforma anche perché il corpo non risponde più agli impulsi della giovinezza.

Avendo il tempo di analizzare i suoi precedenti (grandi), romanzi, si ritroverebbero gli stessi concetti, e, probabilmente, anche le stesse frasi. Comunque le stesse ossessione che Roth vuole rendere universali - non dando un nome al suo protagonista - ma che invece sono le ossessione dell’uomo Roth, e non, per fortuna, di tutti gli uomini anziani.

Sembra che per Roth, “vita” sia sinonimo di sesso, se questo viene meno, non si può più parlare di “vita”.

Questo libro dice, secondo me, che Roth ha ormai poco da dire. Non fa i conti con la morte, così come lui stesso aveva dichiarato tempo fa in una intervista, ma ripropone al lettore, forse furbescamente, cose già ampiamente dette e, secondo me, dette anche in modo più convincente e originale.

Tanto la trilogia sull’America mi aveva conquistato, tanto l’Animale morente, mi aveva coinvolta per alcune meditazioni che si potevano fare proprio sulla vecchiaia, tanto Everyman mi ha irritata provocandomi un rifiuto totale sull’autore.

Milano, 12 febbraio 2007

mercoledì 14 febbraio 2007

Istambul di Orhan Pamuk - commento

Istanbul

di Orhan Pamuk

Tristezza è la parola più usata da Pamuk per raccontare la sua storia d’amore con Istanbul.

Perché di una storia d’amore si tratta tra un bambino nato in una famiglia agiata, da una madre bellissima, che lui, (è evidente), ama molto, e una città languida, decadente, triste, grigia, sporca, con l’affanno, fino all’esasperazione, del confronto con l’occidente.

La tristezza «È una passione della mente che la città ha assimilato con orgoglio.»

Istanbul fa da sfondo alla vita di Pamuk e la vita di Pamuk fa da sfondo al racconto sulla città. Le due vite si incrociano piene di tristezza e malinconia: Istanbul, per il fallimento della sua ambizione di grande città al confine tra oriente e occidente, e Orhan, per una infanzia e una adolescenza tra genitori in costante tensione.

A testimonianza tante fotografie: scorci di una città in un affascinante abbandono, una città in bianco e nero, la definisce lo scrittore, e immagini di una famiglia borghese, con tutto il clichè dei borghesi benestanti.

E poi l’eccitazione dei letterati francese dell’800 per Istanbul, l’amore di Pamuk per la letteratura occidentale e per gli scrittori turchi, suoi maestri, promotori di una Enciclopedia di Istambul.

Dopo aver letto questo libro pieno di fascino e pieno di amore, mi ha colpita la fuga di Pamuk da Istambul per le minacce di morte ricevute. Devo confessare che non me lo sarei aspettato. Forse, dopo tante dichiarazioni, lo avrei immaginato sulle barricate fino all’ultimo respiro.

Ma anche gli scrittori sono uomini con tutte le loro paure. E quando si comincia a essere celebri deve essere molto difficile rinunciare alla celebrità e a tutto ciò che questa condizione si porta dietro.

12 febbraio 2007